In una conferenza TED, il giornalista e scrittore Kenneth Cukier, ha brillantemente illustrato un futuro basato sui Big Data, che sono un particolare tipo di dati. Ma tutto questo potrebbe non essere familiare ai più, perciò partiamo dall’inizio.

 

 

1. Cosa sono i Big Data?

 

Stiamo ovviamente parlando di grandi aggregazioni di dati che, se messi in relazione, possono aiutare a comprendere e prevedere determinate situazioni ed eventi. Ad esempio, ipotizziamo di voler conoscere la spesa media dei turisti in una precisa area geografica: per farlo serve un’infinità di dati messi in relazione tra loro (costo del biglietto aereo e dell’alloggio, degli spostamenti in loco, delle esperienze, dei ristoranti, ecc.). In realtà ciascuno degli esempi appena citati rappresenta una complessa e indipendente serie di dati. Ma ipotizziamo di avere lo strumento adatto per ottenere questi dati (punto 3) e di scoprire che la zona in cui vogliamo aprire un ristorante è frequentata da turisti con bassa capacità di spesa. È qui che apriremmo un ristorante di lusso?
I Big Data possono evitare un’infinità di rischi inutili e ottimizzare i risultati. Ci aiutano ad andare oltre l’intuito e l’esperienza, permettendoci valutazioni basate su solide statistiche e previsioni. Importantissimi anche nel caso della fidelizzazione dei clienti, il loro utilizzo non può ovviamente prescindere da altre strategie di promozione online improntate sulla qualità e su un buon stoytelling.

 

2. L’innata fame di dati dell’umanità

 

 

Seimila anni fa a Babilonia si raccoglievano dati sulla popolazione. Non Big Data, ovviamente, ma comunque dati. Tempo dopo accadde la stessa cosa in Egitto e in Cina, poi a Roma, e così via, in modo sempre più strutturato. Tutto ciò che è grande e complesso, per funzionare è alimentato da dati e informazioni. Persino la Bibbia dice che l’uomo sapiente vince sull’uomo vigoroso, come direbbe Hobbes: “il sapere è potere”. L’utilizzo di informazioni sbagliate può avere risvolti tragicomici: il documentarista Franck Ferrand sostiene che Napoleone perse a Waterloo perché “utilizzava una mappa sbagliata”; mentre le giuste informazioni possono portare gloriosi successi: è decifrando Enigma che gli Alleati vinsero la Seconda guerra mondiale.

 

Possiamo dire con certezza che le informazioni sono un alimento per l’umanità e per il progresso. E oggi, che queste informazioni sono pressappoco infinite (il 90% dei dati di tutto il mondo sono stati prodotti negli ultimi due anni), il nostro appetito non è certo diminuito. Ci rendiamo conto del potenziale dei dati e abbiamo un sincero bisogno di utilizzarli per migliorare le nostre vite.

 

3. Gli strumenti con cui raccogliere i dati

 

Sarebbe una sfida estrema quella di elencare tutti gli strumenti che ogni giorno catturano Big Data. E probabilmente sarebbe anche inutile. Ma una cosa è certa: i social e gli smartphone sono forse i mezzi ideali. Pensate a quanti dati ogni giorno vengono registrati sui nostri comportamenti attraverso questi strumenti.

 

4. Una minaccia per la Privacy?

 

In teoria sì, in pratica no. È ovvio che ottenere certi dati, pur col consenso del singolo utente, possa ridurne la privacy. Ma facendo parte di un’azienda che inevitabilmente ha a che fare coi Big Data, posso dire con assoluta certezza una cosa: il singolo individuo non è che un granello di sabbia. È l’insieme che conta. “Non mi importa” sapere che Hans Müller è un tedesco di 35 anni che ama andare in spiaggia alle 9 del mattino e ha due figli, ma potrei trovare interessante scoprire che il 40% delle famiglie tedesche manifestano quella stessa abitudine. E a che fine? Ovviamente quello di migliorare un servizio.

 

 

Tutto qui? Nessun lato oscuro?

 

Il vero rischio, come sostiene Kenneth Cukier, è semmai per il libero arbitrio, non più per la Privacy. Perché i Big Data potrebbero ridurre l’essere umano a un organismo estremamente prevedibile e aiutare grandi aziende a sfruttarne le debolezze. Eclatante è il caso della cittadina di Ebbw Vale, di cui ha ampiamente parlato la giornalista Carole Cadwalladr: Ebbw Vale è rinata dopo una forte crisi economica grazie ai finanziamenti dell’UE, eppure è stata fortemente favorevole alla Brexit. Perché? Semplice! Gli abitanti di Ebbw Vale hanno iniziato a vedere fake news sui social nelle settimane prima del referendum, strategicamente mostrate per influenzare il voto contro il “Remain”.
Questo è anche un esempio eccellente per dimostrare quanto affermato prima: chi ha fatto circolare queste fake news non ha alcun interesse a sapere chi erano singolarmente gli abitanti di Ebbw Vale, gli è bastato conoscerne le paure e le abitudini. Siamo ben oltre la Privacy.

 

5. Il gioco vale la candela

 

Quanto appena detto non dovrebbe intimorirci. D’altro canto potrebbero bastare un’educazione adeguata e uno spirito critico per evitare la la maggior parte dei rischi. Quello di credere alle fake news, nello specifico, lo considero un problema generazionale: quasi tutti i coetanei che conosco sanno cos’è una fake news e ci fanno attenzione, cosa che invece non posso dire della quasi totalità dei cinquantenni che conosco. Personalmente potrei anche vederle in continuazione, si potrebbe anche fare leva sulle mie paure, ma non crederò mai a una testata giornalistica completamente sconosciuta o dal nome improbabile. Ormai sono stato “educato”.
L’uomo è questo: nuova situazione > adattamento.

 

Certo, in futuro i Big Data potrebbero arrivare persino a prevedere la nostra vita: che lavoro faremo, quanti amici avremo, che auto compreremo e in che città ci trasferiremo, se preferiremo la torta di mele o quella alle ciliege, ecc. Ma siamo ancora ben distanti da questo scenario e nulla toglie che per allora avremo già sviluppato gli anticorpi necessari a garantirci il libero arbitrio. Per ora, dobbiamo confrontarci con la realtà: i Big Data applicati a branche come turismo, medicina, sicurezza e antropologia sono uno dei strumenti più rivoluzionari mai concepiti.